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Breviario del Caos

by Humpty Dumpty

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1.
Siamo alla fine dei tempi e perciò tutto si dissolve, il nostro futuro si annuncia moltiplicando i disordini, la lezione della Storia è che il cambiamento si paga e il prezzo della metamorfosi è il più alto che ci sia: ora, noi ci trasformiamo, fosse pure nostro malgrado, non sappiamo che cosa diveniamo e le parole che servono a definirci ci abbandonano strada facendo. Le forme si aprono e i contenuti sfuggono, i pesi e le misure sono falsati, il giudizio degli uomini più accorti si smarrisce e la bassa lega trionfa impunemente insieme agli impostori che la accreditano. Le nostre lingue degenerano e le più belle si fanno brutte, le più conosciute si fanno oscure, la poesia è morta, la prosa può solo scegliere tra il caos e la banalità. Le arti sono svanite già da molte generazioni e i nostri artisti più rinomati assomigliano solo a grandi saltimbanchi, che il futuro disprezzerà. Non sappiamo né costruire né scolpire né dipingere, la nostra musica è un abominio, e perciò restauriamo i monumenti antichi anziché distruggerli, perciò diveniamo conservatori di tutti gli stili, duplice ammissione di impotenza.
2.
Il secolo 03:40
Il secolo vorrebbe scegliere tutto, ed è per questo che non abbiamo stile, il secolo vorrebbe capire tutto, ed è la ragione per cui non esce più dal labirinto, il secolo vorrebbe perfino umanizzare la massa di perdizione in quanto massa, ed è per questo che andiamo verso la carneficina planetaria. Vogliamo l'impossibile e tra poco non avremo neanche l'ombra del possibile, sbarcheremo sulla luna e quaggiù berremo le nostre deiezioni, domani i nostri figli mangeranno cose ritenute immonde, la vita che ci attende è talmente assurda e talmente orribile che i migliori preferiranno la morte e la follia e il caos all'ordine, un ordine per la morte seconda e la follia perpetua e il caos organizzato. L'ordine futuro sarà di gran lunga il più disumano che mai si sia visto, il più bravo a mentirci e il più infallibile nell'ingannarci, un mostro tiepido e metodicamente informe, misterioso e piatto, sfuggente e dispotico, che divora in continuazione senza cessare di essere inafferrabile. Il peggio è che, dopo averci illusi, non ci impedirà di andare in rovina, giacché se può abusare di noi, esso è altresì la debolezza stessa.
3.
Elevo un canto di morte su ciò che sta morendo, e di fronte ai nostri reggenti da strapazzo, di fronte ai nostri impostori mitrati e di fronte ai nostri scienziati, i più dei quali non hanno raggiunto l'età della ragione, io, solitario e misconosciuto, profeta della mia generazione, murato vivo nel silenzio anziché essere arso sul rogo, pronuncio le ineffabili parole che domani i giovani ripeteranno in coro. La mia unica consolazione è che la prossima volta moriranno con noi, i reggenti e gli impostori e gli scienziati, non rimarrà sotterraneo in cui questi maledetti possano sottrarsi alla catastrofe, non rimarrà isola dell'oceano in grado di accoglierli né deserto capace di inghiottire loro, i loro tesori e la loro famiglia. Rotoleremo tutti insieme nelle tenebre da cui non si ritorna, e il pozzo buio ci accoglierà, noi e i nostri dèi assurdi, noi e i nostri valori criminali, noi e le nostre speranze ridicole. Allora e soltanto allora giustizia sarà fatta, e verremo ricordati come un modello da non imitare più per nessun motivo, saremo il monito delle generazioni future e si verranno a contemplare gli orridi resti delle nostre metropoli, queste figlie del caos partorite da quale ordine!
4.
L'ora degli esorcismi e delle congiure è trascorsa; qualunque cosa accada, è trascorso il tempo della preghiera. Le nostre religioni non ci servono più a nulla e i credenti non hanno più motivo di esistere, giacché le prime ci ingannano sulla nostra evidenza e i secondi non ripenseranno il mondo: ma se il mondo che abitiamo non viene ripensato, noi non vi dureremo tre generazioni di più, non possiamo ingannarci per tre generazioni di seguito sulla nostra evidenza. Ormai possediamo mezzi che ci giudicano, e i nostri sistemi ispirati non sono in grado di dominarli, il tempo del pensiero si annuncia e l'ora della meditazione ha inizio. In verità, la massa di perdizione è formata proprio dai credenti, i credenti sono di troppo tra noi e il nostro futuro, così la loro ricompensa sarà la morte, e mai ricompensa parve più meritata. Non è bene che ci governino dei ciechi e che essi siano onorati in quanto tali: non è lecito che dei Capi di Stato menino vanto della loro superstizione, né che si siano messi a onorare della loro presenza le cerimonie dei culti. L'uomo degno di questo nome, al giorno d'oggi, non crede in niente, e se ne gloria.
5.
Il mondo che abitiamo è duro, freddo, cupo, ingiusto e metodico, i suoi governanti sono o imbecilli patetici o veri scellerati, nessuno è più all'altezza dei tempi, siamo tutti quanti superati, piccoli e grandi, la legittimità appare inconcepibile e il potere non è tale che di fatto, è un ripiego a cui ci si rassegna. Se si sterminassero da un polo all'altro tutte le classi dominanti, nulla cambierebbe, l'ordine instaurato cinquanta secoli or sono non ne sarebbe minimamente scosso, il cammino verso la morte non si arresterebbe più un solo giorno e i ribelli trionfanti non avrebbero altra scelta che essere i legatari delle tradizioni sorpassate e degli imperativi assurdi. La farsa è finita, comincia la tragedia, il mondo diventerà sempre più duro, più freddo, più cupo e più ingiusto, e, nonostante il caos dilagante, sempre più metodico: anzi, è proprio l'unione della mentalità sistematica con il disordine a sembrarmi il suo carattere meno eccepibile, mai si vedranno più disciplina e più assurdità, più calcolo e più paradossi, insomma più problemi risolti, ma risolti inutilmente.
6.
Sarà l'immoralità a salvare il mondo, saranno il rilassamento e la mollezza, sarà il rifiuto dei sacrifici di qualsiasi genere e l'abbandono delle virtù militanti, saranno il disprezzo per tutto ciò che giudichiamo rispettabile e il consenso alla frivolezza, sarà l'effeminamento a liberarci dall'incubo verso cui la virilità ci indirizza e da cui essa non uscirà mai, perché l'uomo è sposo della morte e la morte informa le sue azioni. La guerra è l'elemento dell'uomo e l'uomo vi si prepara, la guerra è la sua ragione d'essere, e se la pace perpetua ci fosse restituita, come prima della Storia, ai tempi in cui la donna era padrona e insieme sacerdotessa, il potere temporale e il potere spirituale gli sfuggirebbero di mano, e come cinquanta secoli or sono egli rientrerebbe nel nulla, quel nulla da cui la morte lo fa uscire, la morte, l'ordine morale, la guerra e la necessità delle virtù militanti, l'apparato della barbarie legale e l'instaurazione della disumanità sistematica. L'uomo ha bisogno di legittimare la sua preminenza organizzando la sventura, solo a questo prezzo si rende indispensabile, ma questo prezzo, per quanto tempo ancora potremo pagarlo?
7.
E ora stiamo entrando nella Grande Notte, con le armi in pugno, vittime e vittimari ad un tempo, alienati e posseduti, figli del caos, accoliti della morte. Giacché moriremo prima a milioni e poi a miliardi, e continueremo a morire fino a che la massa di perdizione non sia estinta e l'universo guarito da questa lebbra, la lebbra degli esseri umani che lo divorano in soprannumero. Solo a questo prezzo l'universo cambierà, solo a questo prezzo la Salvezza, di cui ci parlano da duemila anni, cesserà di essere un'ipotesi, e solo sulla tomba delle nazioni, annientate insieme con i loro monumenti, potremo rigenerare ciò che merita di sopravvivere: il resto degli esseri umani, disillusi delle nostre idee oscure e confuse. In verità, niente si risolverà per meno, e qui le nostre tradizioni e le nostre opere ormai convergono, poiché sia le une sia le altre vanno a finire sempre nel medesimo precipizio, le nostre tradizioni legittimando l'effetto delle nostre opere, le nostre opere confermando la dismisura propria delle nostre tradizioni. Abbiamo torto a lamentare che ci manchino le sintesi, e noi serviremo a dimostrare la loro evidenza.
8.
La voce profonda che percepiscono tutti coloro che non sono sordi ci mette in guardia su quanto ci attende, sappiamo che il male è senza rimedio e che credere nel miracolo è un'empietà, sappiamo che non risaliremo la china e che saremo lieti di discenderla per ragioni in apparenza plausibili, sappiamo che stiamo per scoppiare da un polo all'altro e perire nell'incendio che ci preparano le nostre idee al pari dei nostri mezzi. Presto il caos sarà il nostro denominatore comune, lo portiamo in noi e lo troveremo simultaneamente in mille luoghi, dappertutto il caos sarà il futuro dell'ordine, l'ordine già non ha più senso, non è più altro che un meccanismo vuoto e noi ci logoriamo nel perpetuarlo perché ci voti all'irreparabile. Innalziamo un tempio alla Fatalità, lo onoriamo di sacrifici e non è lontano il momento in cui offriremo noi stessi, il mondo è pieno di gente che sogna di morire, trascinando gli altri nella morte. Sembrerebbe quasi che gli uomini in soprannumero distillassero un veleno che si spande nell'universo e rende l'ecumene inabitabile. Perciò l'Inferno, lungi dall'essere il nulla, è la presenza.
9.
Siamo già troppo numerosi per vivere, per vivere non da insetti ma da uomini; noi moltiplichiamo i deserti a forza di esaurire il suolo, i nostri fiumi sono ridotti a sentine e l'oceano entra a sua volta in agonia, ma la fede, la morale, l'ordine e l'interesse materiale si uniscono per condannarci alla tribù: alle religioni occorrono fedeli, alle nazioni difensori, agli industriali consumatori, il che significa che a tutti occorrono bambini, non importa quello che ne sarà una volta diventati adulti. Ci spingono incontro alla catastrofe e non possiamo mantenere i nostri fondamenti se non andando alla morte, mai si è visto paradosso più tragico, mai si è vista assurdità più palese, mai ha ricevuto più universale conferma la prova che l'universo è una creazione del caos, la vita un epifenomeno e l'uomo un accidente. Non abbiamo mai avuto nessun Padre in Cielo, siamo orfani, sta a noi comprenderlo, a noi uscire dall'infanzia, a noi rifiutarci di obbedire a chi ci fuorvia e immolare chi ci vota all'abisso, giacché nessuno ci redimerà se non ci salveremo da soli.
10.
Ma a che serve predicare a quei miliardi di sonnambuli che vanno verso il caos con passo uniforme, sotto il pastorale dei loro seduttori spirituali e sotto il bastone dei loro padroni? Sono colpevoli perché innumerevoli, le masse di perdizione devono morire affinché una restaurazione dell'uomo sia possibile. Il mio prossimo non è un insetto cieco e sordo, il mio prossimo non è neanche un automa spermatico, il mio prossimo non sarà mai un anonimo in preda a idee oscure e confuse, questi sono i vari aborti dell'uomo e noi lasceremo che confondano nella notte la loro gioia e il loro dolore egualmente assurdi. Che ci importa del nulla di questi schiavi? Nessuno li salva né da se stessi né dall'evidenza, tutto si appresta a farli precipitare nelle tenebre, furono concepiti dai capricci degli accoppiamenti, poi nacquero alla stregua di mattoni che escono dallo stampo, ed eccoli formare file parallele in cumuli che arrivano alle stelle. Sono uomini? No. La massa di perdizione non si compone mai di uomini, giacché l'uomo ha inizio soltanto a partire dal momento in cui la folla, tomba dell'umano, si estingue.
11.
Siamo puniti per non aver bruciato ciò che adoravamo, ma i nostri discendenti, dopo la catastrofe, adoreranno tutto ciò che abbiamo bruciato. E noi sembreremo allora pazzi pericolosi, i nostri dèi altrettanti mostri, i nostri dogmi orrori e i nostri imperativi incubi, si domanderanno se non fossimo dei posseduti e avranno ragione, giacché bisogna essere posseduti per strisciare davanti a ciò che noi divinizziamo. La malattia e la menzogna informano i nostri misteri e l'intreccio delle nostre leggende sembra un delirio, ma non usciremo che folgorati da questo letamaio spirituale, fatto a immagine dei nostri fiumi inquinati, siamo divenuti impuri a forza di nitrire dietro la purezza, abbiamo ripristinato il sacrificio umano, e tale è il nostro smarrimento che non comprendiamo le nostre azioni. Che cosa può capitarci di peggio, ormai, che restare quali siamo? E il nulla stesso è poi la giusta pena per le nostre colpe? O non ci meritiamo doppiamente quella morte che non basta a estinguerle? Il vuoto è buono, il vuoto è santo, e coloro che vorrebbero fosse consustanziale al male desiderano perpetuare il male ed essere perpetuati dal male in terra.
12.
Noi tendiamo alla morte, come la freccia al bersaglio, e mai falliamo la mira, la morte è la nostra unica certezza e sempre sappiamo di dover morire, quale che sia il luogo, il momento, o il modo. La vita eterna è un nonsenso, l'eternità non è vita, la morte è la quiete a cui aspiriamo, vita e morte sono legate, chi reclama altro pretende l'impossibile e otterrà in ricompensa solo fumo. Noi, che non ci contentiamo di parole, acconsentiamo a scomparire e siamo lieti di acconsentire, non abbiamo scelto di nascere e ci riteniamo fortunati a non sopravvivere in nessun luogo a questa vita, che ci fu imposta più che donata, vita piena di affanni e dolori, dalle gioie discutibili o mediocri. Che cosa prova mai che un uomo sia felice? La felicità è un'eccezione, mentre noi guardiamo soltanto alle leggi generali, in base a queste ragioniamo, queste meditiamo e investighiamo, disprezziamo chiunque insegua il miracolo e non siamo avidi di beatitudini, la nostra evidenza ci basta e la nostra sovrana eccellenza non è riposta in nient'altro.
13.
Se c'è un Dio, il caos e la morte figureranno nel novero dei Suoi attributi, se non c'è, non cambia nulla, poiché il caos e la morte basteranno a se stessi fino alla consumazione dei secoli. Non ha importanza quello che si incensa, si è vittime della caducità e della dissoluzione, qualsiasi cosa si adori non si eviterà nulla, i buoni e i cattivi hanno un solo destino, un unico abisso accoglie i santi e i mostri, l'idea di giusto e di ingiusto non è mai stata altro che un delirio, al quale ci appigliamo per ragioni di convenienza. In verità, l'origine delle idee religiose e morali è nell'uomo, cercarla fuori dell'uomo è un nonsenso, l'uomo è un animale metafisico, il quale vorrebbe che l'universo esistesse solo per lui, ma l'universo lo ignora, e l'uomo si consola di questa indifferenza popolando lo spazio di dèi, dèi fatti a sua immagine. Sicché riusciamo a vivere accontentandoci di princìpi vuoti, ma questi princìpi così belli e così consolanti cadono nel nulla quando ci si aprono gli occhi sulla morte e sul caos da cui viviamo avvolti, in costante pericolo. La fede non è che una vanità tra le altre e l'arte di ingannare l'uomo sulla natura del mondo.
14.
L'ordine è fragile e anzi lo è sempre di più, perché riflette la sua dismisura e non supera la sua incoerenza, l'ordine è gravido della sua morte, perché riflette la sua soggettività sempre più caotica e sempre più destituita di qualsiasi ragione d'essere. I superstiti della prossima catastrofe chiameranno mondo alla rovescia quello che abitiamo, un mondo sempre più assurdo a forza di conformarsi a un ordine inaccettabile e che manteniamo a scapito del nostro fine ultimo. Giacché l'uomo non è quaggiù per produrre e per consumare, produrre e consumare sono sempre stati soltanto un fatto accessorio, ciò che conta è essere e sentire che si esiste, il resto ci abbassa al rango di formiche, di termiti e di api. Noi rifiutiamo la sorte di insetti socievoli alla quale le ideologie di moda ci votano, preferiamo il caos e la morte, e sappiamo che sono in cammino, sappiamo che le nostre ideologie, dal canto loro, si precipitano immancabilmente incontro alla morte e al caos, quando si illudono di instaurare il Paradiso in Terra, il Paradiso perduto che ritroveremo sulla tomba delle masse, delle masse di perdizione.
15.
A che pro illuderci? Diventeremo atroci, verranno a mancarci terra e acqua, forse verrà a mancarci l'aria e ci stermineremo per campare, finiremo per divorarci l'un l'altro e i nostri spirituali ci faranno compagnia in questa barbarie, siamo stati teofagi e saremo antropofagi, non sarà che un ulteriore compimento. Allora si vedrà, e in modo lampante, quanto avevano di barbaro le nostre religioni: e sarà l'incarnazione dei nostri imperativi categorici, la presenza fattasi reale dei nostri dogmi, la rivelazione dei nostri misteri spaventosi e l'applicazione delle nostre leggende sette volte più disumane delle nostre leggi penali. Le arti ci nascondevano questi orrori funebri e sanguinosi, domani assaporeremo questi orrori nella loro crudezza, ne moriremo, i rari superstiti li proscriveranno insieme con i mostri che li accreditano e li perpetuano. Che cosa sono mai i nostri mezzi più micidiali paragonati alle nostre tradizioni? E queste tradizioni, alle quali teniamo più che a noi stessi, troveranno mezzi ormai alla loro altezza e ci costringeranno, per la prima volta, a porgere la gola, affinché tutto sia consumato.

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Pagine de "Il Breviario del Caos" di Albert Caraco
musicate da Humpty Dumpty

credits

released December 29, 2018

Cover di Viva Corà

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Humpty Dumpty Messina, Italy

Fieramente arroccato su posizioni di intransigente autoproduzione e autodistribuzione, solenne spregiatore del compromesso assurto a modus operandi, ha all’attivo 22 dischi e parecchie collaborazioni.

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